Una memoria viva

23 aprile 2025 / di Martino Rovetta


Il tempo è superiore allo spazio.

L’unità prevale sul conflitto.

La realtà è più importante dell’idea.

Il tutto è superiore alla parte.


È il 24 novembre 2013 quando Papa Francesco promulga la sua prima esortazione apostolica, Evangelii Gaudium, in cui traccia le linee programmatiche del suo pontificato. All’interno del capitolo dedicato al bene comune e alla pace sociale, Francesco offre quattro principi che servono al discernimento in vista di giungere a delle scelte oculate e valide per una ordinata vita sociale ed ecclesiale. Quattro criteri guida incarnati che oggi potrebbero aiutarci a leggere la vita e gli orizzonti di Francesco, a tracciarne una memoria viva.


Il tempo è superiore allo spazio

Francesco è stato un uomo che ha creduto nei processi: la priorità del tempo sullo spazio racconta il tempo come orizzonte aperto verso il futuro. “Più che possedere spazi, iniziare processi”, questo è stato il suo mantra. Dietro il rischio ecclesiale e generale di cristallizzare questioni e di risolverle in fretta, Francesco ha dato vita a cammini ancora in divenire, senza l’ansia di chiuderli traendo conclusioni affrettate: pensiamo all’enfasi sul discernimento, l’attenzione al valutare le situazioni caso per caso, questioni che emergono da tutti i pori in Amoris Laetitia e non solo. Emblematico, forse più di qualsiasi cosa, è il processo sinodale in corso: Francesco ha intuito che la partita della chiesa post-conciliare sarebbe stata la sinodalità, il resto è stato affidato al processo: con tutte le sue debolezze, con tutti i suoi rinvii, con tutto il suo lavoro di ascolto e di difficile sintesi. Che rimarrà alla Chiesa e a chi verrà.


L’unità prevale sul conflitto

Uno degli aspetti che caratterizzano ogni convivenza è l’incontro e lo scontro fra vedute e progetti differenti, fonte pertanto di “conflitti” fra le persone e le loro vedute. A differenza di quanto possa sembrare dalla formulazione, Francesco offre un criterio di comportamento e afferma anzitutto che «il conflitto non può essere ignorato o dissimulato. Dev’essere accettato» (EG 226). E ancora: «Vi è però un terzo modo, il più adeguato, di porsi di fronte al conflitto. È accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo» (EG 227). Le azioni e le parole di Papa Francesco sono state spesso tutt’altro che concilianti, hanno generato dissenso e critiche. Basti pensare alle ultime parole pronunciate sul disarmo. Parole e gesti che spesso lo hanno relegato ad una posizione di solitudine anche all’interno della Chiesa. Eppure, azioni e discorsi non hanno consentito di “mettere tutto insieme” (sarebbe un pericoloso sincretismo) e neppure di “far finta di niente” ma di scoprire la soluzione del conflitto a un livello superiore che conservi in sé le preziose potenzialità che le posizioni in conflitto contengono. Ne sono traccia le polarità ancora irrisolte e i conflitti ancora aperti oggi dentro la Chiesa. Forse in attesa di un germoglio.


La realtà è più importante dell’idea

La realtà è, l’idea si elabora. A differenza di un approccio idealistico e aprioristico in cui l’idea genera la realtà, Francesco ha dato carne ad una rivoluzione filosofica: non si può non tener presente la realtà, luogo in cui ogni cosa si dà. Da lì occorre partire, senza sottacere gli slanci ideali. Laudato Si’, la sua prima enciclica, è stata incentrata sul cambiamento climatico, argomento fino ad allora rimasto quasi del tutto fuori dalla retorica e dagli interessi della Chiesa. Nell’enciclica Francesco partiva dalla realtà dei fatti constatando il venir meno della biodiversità, lo scioglimento dei ghiacciai, la necessità di aiutare i paesi in via di sviluppo a fare i conti con l’aumento delle temperature, e immaginando i modi alternativi per «intendere l’economia e il progresso». Un principio arduo e coraggioso quello messo in atto dal Papa: scegliere la realtà di ogni giorno facendo i conti anche con l’accettazione della tragicità mantenendo però uno slancio radicale il più possibile aderente a quanto già accadeva. Una fedeltà al reale che ha trovato spazio nei suoi gesti: il viaggio a Lampedusa, la lavanda dei piedi ai carcerati, la visita a Lesbo, le telefonate a Gaza.


Il tutto è superiore alla parte

Scriveva: «Anche tra la globalizzazione e la localizzazione si produce una tensione. Bisogna prestare attenzione alla dimensione globale per non cadere in una meschinità quotidiana. Al tempo stesso, non è opportuno perdere di vista ciò che è locale, che ci fa camminare con i piedi per terra». Un invito ad allargare lo sguardo per riconoscere la presenza o la possibilità di scoprire un bene più grande. Il manifesto forse più esplicito di questo criterio guida è stata l’ecologia integrale chiaramente esposta nella Laudato Si’: occorre aver cura di tutto l’insieme dei problemi del mondo e non preoccuparsi solo degli animali o delle foreste amazzoniche, ma anche dell’uomo, del suo ambiente, dei suoi diritti, del lavoro, della pace sociale. Occorre far interagire gli ecosistemi e i mondi di riferimento: un concetto che si avvicina all’intersezionalità nel mostrare le connessioni tra mondi e discriminazioni.


Antonio Spadaro, teologo gesuita molto vicino al papa, scriveva qualche tempo fa che quello di Bergoglio era un papato «di frutti, ma soprattutto di semi. Il papa sta seminando affinché poi, nel tempo giusto, le cose fioriscano». L’eredità di Francesco è ancora tutta da scrivere: sarà compito di tutte e tutti noi e in particolar modo della Chiesa, che sin dalle origini è una comunità di testimoni, incarnare il volto nuovo del Vangelo intravisto nella vita di Francesco.

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