Un vescovo secondo il concilio. Mons. Bettazzi ad un anno dalla morte
di Daniele Rocchetti
L’impegno di una vita
“Emerito è una forma elegante per non dire pensionato. Però emerito si usa in italiano per dire: è un emerito birbante.”
Così piace presentarsi a monsignor Luigi Bettazzi, certamente uno dei vescovi più noti del nostro paese. “Pensi”, mi dice venendomi incontro, “ho passato più anni da vescovo che da uomo e il fatto, se devo essere sincero, mi spaventa!”.
Bettazzi viene ordinato vescovo ausiliare del cardinal Lercaro, arcivescovo di Bologna, nel lontano 1963 e ha la fortuna di partecipare a tre sessioni del Concilio Vaticano II, di cui Lercaro fu uno dei quattro moderatori e certamente una figura chiave. Le problematiche innovatrici di quella stagione, che lo vedono ancora oggi un tenace sostenitore, diventano centrali in tutta la sua successiva opera pastorale.
Alla fine del Concilio (1966) viene assegnato alla diocesi di Ivrea, dove rimane ininterrottamente fino al 1999, anno del suo “pensionamento”. E’ stato presidente della sezione italiana e internazionale del movimento cattolico Pax Christi e in questa veste ha spesso preso posizioni – contro la guerra e per la pace – che hanno fatto discutere.
Il Concilio, poi vescovo di Ivrea. Il carteggio famoso con Enrico Berlinguer
Nel 1976, il suo carteggio con l’allora Segretario del Partito Comunista Italiana, Enrico Berlinguer, fu motivo di aspre polemiche. Lo aveva ben presente nella lettera aperta che scrisse e che iniziava così: «Onorevole, Le sembrerà forse singolare, tanto più dopo le ripetute dichiarazioni di vescovi italiani, che uno di loro scriva una lettera, sia pure aperta, al Segretario di un partito, come il suo, che professa esplicitamente l’ideologia marxista, evidentemente inconciliabile con la fede cristiana. Eppure mi sembra che anche questa lettera non si discosti dalla comune preoccupazione per un avvenire dell’Italia più cristiano e più umano». Berlinguer rispose in tredici fitte cartelle dattiloscritte e il tutto divenne un libro che appassionò e fece molto discutere.
Insomma, Monsignor Bettazzi ha sempre coniugato la riflessione religiosa e teologale con l’impegno sociale e, all’interno dell’episcopato italiano è stato molte volte una voce libera, a volte fuori dal coro. “Mica tanto”, mi risponde. “In trentadue anni di episcopato ho ricevuto solo tre rimproveri. Il primo perché avevo elogiato il catechismo olandese. Il secondo perché non avevo mandato, come allora si usava, elogi all’uscita dell’Humanae vitae. Ricordo che chiamai in diocesi don Enrico Chiavacci a commentare, ai miei preti, il documento vaticano. In quell’occasione, il moralista fiorentino disse che il testo pontificio andava interpretato dai vescovi e elencò una serie di letture, anche diverse tra loro, di alcuni episcopati. Chi stese le note dell’incontro sul bollettino diocesano forse forzò un poco e quindi mi arrivò una lettera della Segreteria di Stato con alcune osservazioni critiche. Il terzo fu a proposito di una mia introduzione alle omelie dell’abate Franzoni. In questo caso, mi chiamò il cardinal Baggio per ammonirmi. Questi sono gli unici rimproveri che ho ricevuto: forse sono stato un po’ troppo politically-correct! D’altronde quando padre Turoldo e padre Balducci insistevano perché mi buttassi di più, io rispondevo loro: “Non posso, tengo famiglia!”