di Vittorio Pelligra | Giovedì 4 novembre
IlSole24Ore
È il marzo 2015 quando il Ministero della Salute rende noti i risultati di una indagine su «Il fenomeno della medicina difensiva: costi, ragioni, strategie di contrasto». Emerge un quadro sconcertante: «Atteggiamenti di medicina difensiva “positiva” e “negativa” - si legge - sono diffusi in maniera preoccupante tra gli operatori, nel tentativo di minimizzare il rischio di contenziosi legali futuri». Le pratiche di medicina difensiva «positiva» sono tutte quelle attività non tanto orientate alla protezione della salute del paziente ma, piuttosto, alla minimizzazione della probabilità di una causa legale da parte del paziente, o dei suoi congiunti, verso il medico curante. La medicina difensiva «passiva», invece, ha a che fare con tutti quei casi che presentano alti rischi di esiti nefasti e che, per questo, i medici preferiscono non trattare per allontanare da sé l'alto rischio di cause e contenziosi legali.
La preoccupante diffusione della «medicina difensiva»
La medicina difensiva ha avuto, negli ultimi anni, una diffusione abnorme e preoccupante. La ragione che sta alla base di tali pratiche riguarda innanzitutto la rottura del legame fiduciario tra medico e paziente; una relazione nella quale, per ragioni diverse, il primo non si sente più, naturalmente, tutelato dalle scelte del secondo e, per questo, assume spesso un atteggiamento di sospetto e diffidenza. Indipendentemente dalla fondatezza di tale percezione, ciò che abbiamo osservato in questi anni è stata la crescita della conflittualità e della litigiosità legale in ambito medico che ha portato ad un aumento del 65 percento in dieci anni delle richieste di risarcimento.
Una indagine condotta su 800 medici della provincia di Roma ha messo in luce come in media, soprattutto chirurghi e anestesisti, passino un terzo della loro vita lavorativa sotto processo. È a causa di questo accresciuto rischio di contenziosi che è aumentato l'atteggiamento «difensivo» da parte dei medici. La commissione parlamentare che ha, recentemente analizzato il fenomeno ha quantificato nell'ordine dei 10 miliardi di euro annui i costi connessi alla sola medicina difensiva «positiva». Un valore pari a quasi 1 punto percentuale di Pil. I maggiori costi derivano principalmente da ricoveri che sono più lunghi del necessario, dalla prescrizione generosa di farmaci, da un numero di visite, esami strumentali e di laboratorio, sovrabbondanti rispetto al reale fabbisogno diagnostico.