Oltre i numeri: il lavoro a Bergamo visto da vicino
Il lavoro è una parte fondamentale della vita di ciascuno di noi. Non serve solo per “guadagnarsi il pane”, ma ci permette di sentirci utili, realizzati, parte attiva di una comunità viva e solidale. A Bergamo, terra laboriosa e ricca di tradizioni, il lavoro ha sempre avuto un ruolo centrale, costruendo nel tempo un tessuto sociale forte e un’economia dinamica.
Oggi, però, anche nella nostra provincia il mondo del lavoro sta attraversando profondi cambiamenti. Le nuove tecnologie, le crisi recenti e una società che invecchia pongono sfide nuove, soprattutto per i giovani. Spesso si parla di “ripresa” e di “occupazione in crescita”, ma dietro ai numeri si nascondono dinamiche più complesse, fatte di contratti a termine, difficoltà di inserimento e grandi differenze tra fasce d’età.
Come comunità, non possiamo restare indifferenti. Anche nel nostro piccolo possiamo sostenere, incoraggiare, orientare. In questa direzione si muove l’impegno delle ACLI sul territorio bergamasco. Attraverso il progetto “Sportelli ACLI Rete Lavoro”, vengono offerti servizi di accoglienza, informazione, aiuto nella stesura del curriculum, orientamento professionale e contatti con Centri per l’impiego, agenzie e imprese locali. È un modo semplice, concreto e gratuito per accompagnare chi si trova a cercare un nuovo inizio lavorativo. Per informazioni o per fissare un appuntamento è possibile contattare il numero +39 375 5567816.
A partire da queste premesse, è utile ora guardare da vicino alcuni dati significativi relativi al mercato del lavoro bergamasco e italiano, per capire meglio cosa sta succedendo, chi sono i più colpiti dai cambiamenti e quali prospettive si aprono per il futuro.
Secondo i dati dell’Osservatorio Mercato del Lavoro relativi al 2024, il saldo occupazionale in provincia di Bergamo è stato positivo, trainato in particolare dal settore terziario (+5.970 posizioni) e dalle costruzioni (+1.047). Al contrario, il settore industriale ha registrato una sostanziale stagnazione, con una variazione vicina allo zero (-72), legata in gran parte al rallentamento di alcuni comparti del manifatturiero.
Nel terziario, la crescita è stata spinta dalla maggiore domanda di beni e servizi legati al turismo e al tempo libero, dall’espansione del commercio sia all’ingrosso sia al dettaglio, e dai numerosi inserimenti nelle piattaforme logistiche della bassa pianura. In termini percentuali, si stima un aumento del +3,3% dello stock di dipendenti in commercio e servizi rispetto all’anno precedente.
Anche l’edilizia ha continuato a crescere, con un incremento stimato del +3,6%. Questa dinamica è sostenuta da un ciclo prolungato di investimenti, inizialmente stimolati dai bonus fiscali per le ristrutturazioni (ora in fase di riduzione) e successivamente alimentati dai fondi del PNRR destinati a opere pubbliche e infrastrutture.
Un dato che però fa pensare è quello sugli inattivi: a Bergamo nel 2024 gli inattivi tra i 15 e i 64 anni sono circa 218.000, con una netta prevalenza femminile (circa il 60%). Questo è dovuto a un tasso di attività femminile più basso, legato certamente a carichi familiari, barriere culturali e una maggiore incidenza di lavori precari. A ciò si aggiunge il fatto che nelle province con una maggiore presenza di settori industriali tradizionali, come nella nostra città, si offrano ancora poche opportunità di lavoro flessibile, che spesso favorisce l’occupazione femminile. Tuttavia, come vedremo più avanti, il tasso di occupazione femminile è in aumento, segno di un graduale recupero favorito anche da nuove modalità organizzative che alcune aziende stanno introducendo.
Secondo i dati di Unioncamere nel trimestre marzo – maggio di quest’anno, nella Provincia di Bergamo, sono previste circa 24.720 nuove assunzioni.
Nel complesso il mercato sta evolvendo seguendo nuove dinamiche: da un lato cresce il ricorso ai contratti a tempo indeterminato, dall’altro si nota un’attenzione crescente alla flessibilità degli orari, con una preferenza sempre più diffusa per il part-time.
Solo nel 29% dei casi le entrate previste saranno stabili, ossia con un contratto a tempo indeterminato o di apprendistato, mentre nel 71% saranno a termine. In realtà questo dato non sorprende, è infatti peculiarità dell’ultimo ventennio la continua crescita dei dipendenti a tempo determinato (interrotta solo dalle grandi crisi degli ultimi tempi, anche se non fronte di un aumento dei contratti a tempo indeterminato quanto di un aumento della disoccupazione). Solo a partire dal 2023 si è registrata una prima riduzione del lavoro a termine in presenza di un aumento complessivo dell’occupazione.
A livello nazionale si registra un aumento di circa 1 milione di dipendenti a termine, che ha interessato tutte le fasce di età, ma che è stato particolarmente marcato per i giovani tra i 15 e i 34 anni (con l’incidenza passata dal 18,9% del 2004 al 33,4% nel 2023); di contro il lavoro a tempo indeterminato è cresciuto di 1,37 milioni di unità tra il 2004 e il 2023 solo tra gli occupati ultracinquantenni.
La fascia di età tra i 15 e i 34 anni è anche stata protagonista (in questa prospettiva di lungo periodo nel ventennio 2004 – 2023) di un calo generale dell’occupazione di oltre 2 milioni di lavoratori e nella fascia tra i 35 e i 49 anni di un calo di 1 milione di occupati. Il saldo, tuttavia, risulta complessivamente positivo (+ 1 milione e 279 mila occupati) grazie all’aumento di 4,5 milioni di occupati nella fascia over-50.
Dimostrando che, in realtà, il celebrato tasso record di occupazione nazionale nasconde dinamiche differenti a seconda delle fasce di età, che si riflette nel quadro di una forza lavoro occupata invecchiata ancor più velocemente della popolazione. Questo dato si riflette anche nella nostra dinamica bergamasca, che vede solo il 31% delle previsioni di nuovi ingressi nel mercato del lavoro di giovani con meno di 30 anni.
L’evoluzione della povertà assoluta conferma, infatti, come il fenomeno non riguardi più le famiglie più anziane, ma sia oggi maggiormente diffuso tra le famiglie con età media più giovane. A questo fatto hanno contribuito il peggioramento della qualità occupazionale e le ridotte prospettive di progressione di carriera per i giovani. Inoltre, negli ultimi anni il reddito da lavoro è sempre meno in grado di tutelare individui e famiglie dal disagio economico: complessivamente l’incidenza della povertà individuale tra gli occupati è aumentata di 7.7 punti tra il 2014 e il 2023.
I dati ci spingono a guardare oltre le statistiche e a chiederci se, oggi, il lavoro riesca davvero a garantire stabilità, dignità e futuro alle persone. Troppi giovani fanno fatica a trovare spazio, e la precarietà, più che una condizione contrattuale, diventa una condizione di vita che limita sogni e progetti.
Se il lavoro perde il suo valore umano, ne risente l’intera società. Siamo chiamati a non restare indifferenti: possiamo tendere la mano, ascoltare, incoraggiare, creare legami, segnalare opportunità. Anche un piccolo gesto può fare la differenza.
(Dati: Osservatorio Mercato del lavoro - Provincia di Bergamo, Unioncamere e Report Oxfam “Disuguaglianza: povertà ingiusta e ricchezza immeritata 2025”)
Articolo a cura di Noemi Cucinotta e Susanna Facheris