La silenziosa resistenza di Nadia Anjuman
di Marisol Mologni
Nadia Anjuman è stata una poetessa afghana, simbolo di una silenziosa resistenza contro il regime talebano. Tra vita e poesia, tra silenzio e ribellione.
Cammino per strada, è buio, i lampioni illuminano i contorni delle figure che vedo creando giochi di ombre che non comprendo, i miei passi si susseguono come una danza che non ho mai voluto imparare e, quasi seguendo il ritmo dei miei battiti, fisso ciò che ho davanti, decisa, come se ogni metro calpestato fosse una conquista; la musica nelle orecchie, sempre più alta di ciò che mi sta attorno, ma mai troppo alta per restare indifferente agli sguardi rumorosi del mondo; in riproduzione, ascolto “e le parole, sì lo so, so' sempre quelle, ma è uscito il sole e a me me sembrano più belle; scuola e lavoro, che temi originali, se non per quella vecchia idea de esse tutti uguali. E senza scudi per proteggermi, né armi per difendermi, né caschi per nascondermi o santi a cui rivolgermi, con solo questa lingua in bocca, e se mi tagli pure questa, io non mi fermo, scusa, canto pure a bocca chiusa”; condivido la mia posizione con i miei amici, “stai attenta, sei sempre in giro da sola, è tardi, è buio, hai il telefono carico?” mi chiedono. Vorrei che queste domande si affievolissero con la stessa velocità con cui si dissolvono i miei pensieri quando arrivo alla meta desiderata, un sospiro di sollievo e quel soave rito: “sono arrivata” scrivo e con un gesto quasi liberatorio appoggio il mio zaino a terra e, con esso, tutte le preoccupazioni.