In marcia per la pace

In marcia per la pace

 

Se nel primo articolo abbiamo approfondito i pareri di alcuni autori e relatori in merito al tema del terrorismo italiano, ora invece parliamo di un’attività organizzata che le ACLI Provinciali di Bergamo erano solite organizzare a metà anni Settanta. Un’azione sociale dal forte significato simbolico e che si è protratta fino ai giorni nostri. Stiamo parlando delle marcie all’insegna della pace e della non violenza, come quella del 7 maggio 2023 tra Bergamo e Brescia o la più famosa Perugia-Assisi.

 

Una delle forme di mobilitazione che le ACLI hanno organizzato sul territorio è infatti quella delle marce di fine anno, svolte a partire dagli anni ’70 in collaborazione con diverse realtà giovanili del laicato cattolico della provincia di Bergamo. Il settimanale La domenica del popolo ha dedicato una pagina al commento della marcia di fine anno del 1975, descrivendo i valori che ogni gruppo partecipante portava con sé. «Circa mille giovani provenienti da tutta la provincia, si sono riuniti l’ultima sera dell’anno presso l’Auditorium del Collegio S. Alessandro accogliendo l’invito rivolto loro da Azione Cattolica, Gioventù Aclista e Gruppi Missionari. Si sono ritrovati per partecipare ad una tavola rotonda al termine della quale ha avuto inizio la marcia, che […], partendo da Porta Nuova, li ha portati nella chiesa ipogea del seminario». Questo è ciò che viene riportato nel giornale a proposito di Gioventù Aclista: «[…] ha evidenziato il suo impegno in campo sociale ed ha precisato la scelta di una religione liberante e non di una religione mistificante. La fede è tale nel momento in cui viene verificata ogni giorno nelle scelte. La nostra società, sempre secondo G. A. è antiumana perché ha come fine il profitto, la produttività. I giovani vivono su un mondo vuoto di valori reali, umani, creato appunto dalla società capitalista. Nelle lotte sociali G. A. vede la speranza che l’uomo non è stato del tutto schiacciato». Il direttivo provinciale di Gioventù Aclista del 1975 chiarisce le intenzioni dell’evento: «Nel vuoto di valori che la crisi sempre più evidenzia, la marcia vuol essere anche momento di riflessione di tutti coloro che vivono particolari contraddizioni; in particolar modo del mondo giovanile, di cui noi siamo parte, che vive e soffre la mancanza di sicurezza occupazionale, diventando anche instabilità psicologica». Difficile non notare un’incredibile attualità di queste parole, che ci ricordano che le contraddizioni del nostro tempo non sono una novità nella storia, ma un fenomeno vissuto, seppure in maniere differenti, anche dalle generazioni che ci hanno preceduti. Sempre parlando della Marcia del 1975, l’archivio storico ci offre un articolo inedito scritto da Dario Nicoli. Viene messo in evidenza «quanto influisca su noi e su tutti i giovani la disoccupazione, la precarietà del posto di lavoro, l’inutilità della scuola, la precarietà dei valori». L’amore per il prossimo non è soltanto una frase retorica, ma «significa porsi in disponibilità degli oppressi in generale. Punto fermo di ciò, è la considerazione dell’uomo al centro di qualsiasi progetto di nuova società, la partecipazione di tutti, senza distinzione».

Nella relazione scritta da Gioventù Aclista in occasione della Marcia dell’anno successivo, quella del 1976, la cornice teorica in cui si svolge l’attività è quella della lotta alle disuguaglianze, tanto che tra gli obiettivi della marcia c’è quello di «far dimenticare un attimo specialmente ai più poveri la loro condizione di disuguaglianza», in piena polemica con «la standardizzazione delle ore di lavoro e di studio che la società odierna impone». Il compito della gioventù aclista è quello di «permettere ad ogni persona di qualunque razza, sesso, età, anche la più emarginata di conquistarsi la sua felicità, la sua parte di potere, il suo “diritto alla vita” ogni giorno ed in ogni situazione». Lo scopo della marcia è quindi quello di spezzare il ritmo della vita di tutti i giorni, troppo chiusa, incasellata, rigida, che stabilisce disuguaglianze e non permette di vivere autenticamente, organizzando una giornata che ricordi a tutti il proprio diritto alla vita e la propria partecipazione a una comunità di eguali. Il fine perseguito da Gioventù Aclista non può fare a meno di scontrarsi con il sistema economico odierno, poiché «costruire una società con al centro l’uomo significa oggi ribaltare la logica dominante del nostro sistema che ha troppo spesso come motore fondamentale la produttività, il profitto». Tutte le minoranze della popolazione – come i vecchi, i disabili, i giovani – sono in questo modo esclusi, emarginati solo perché non producono, non creano reddito. Gioventù aclista individua nel Movimento Operaio quello specifico soggetto storico che da anni combatte per difendere la salute su ogni altra cosa, che pratica l’egualitarismo, che tende ad usare come metro di misura i bisogni reali dei più deboli, che combatte contro le ingiustizie e gli sprechi. La crisi economica e sociale di quegli anni «porta all’estremo la divisione in classi della nostra società, elimina la possibilità di scalate sociali, di compensazioni consumistiche e accentua lo scontro tra classi dominanti e classi subordinate, tra capitalisti e lavoratori» Dobbiamo schierarci «con chi rivendica un nuovo sviluppo economico, un maggior potere per l’operaio in fabbrica, per lo studente a scuola e per la donna nella società». La relazione del 1976 si conclude con la presa di coscienza della fallibilità umana: «nessun uomo come tale possiede le verità terrene». Proprio per questo motivo bisogna far sì che tutte le persone vengano ascoltate e comprese, poiché non potendo possedere la verità assoluta non siamo giustificati a far tacere nessuno. «È fiducia nell’umanità, nelle lotte dei poveri, dei diseredati; è fiducia anche in quelle persone, in quei gruppi che troppo frettolosamente vengono esclusi dalla comunità ecclesiale anche nella nostra provincia perché diversi, ed alla ricerca di nuove forme di espressione della Fede». Infine l’invito di Gioventù Aclista a superare le contrapposizioni in seno alla comunità ecclesiale con la dialettica, con la speranza che «la comprensione e l’ascolto prendano definitivamente il posto dell’emarginazione».

«Il problema della pace è oggi il problema centrale dell’esistenza umana: esso investe tutta la nostra esperienza, da quella pubblica (politica) a quella privata (la rete dei rapporti interpersonali e affettivi).» Con queste parole semplici e dirette si apre la relazione per la marcia di Gioventù aclista del 1980. Il fulcro della riflessione è la pace in quanto concetto culturale, che nella nostra società sta prendendo una connotazione perversa. «Si fa strada tra la gente l’idea che solo la violenza può riportare l’ordine», come se l’odio e la violenza siano mezzi necessari per il mantenimento della pace. «Il metodo, cioè la via che si segue abitualmente è quella della contrapposizione, della negazione dell’altro, del diverso; dell’oppressione del debole e dello sfruttamento». Se partiamo da questa cornice culturale ci saranno sempre forti ostacoli alla pace: è dalle radici culturali della nostra società che bisogna partire per promuovere una vita che non si basi sul conflitto e sull’oppressione. «Solo una politica che è promozione autentica dell’uomo può servire veramente la causa della pace, smettendo di affidare a scelte belliche la sua difesa». Gli autori del documento, lungi dall’avere una disposizione d’animo pessimistica, sono convinti che all’interno di ogni persona ci sia una “nostalgia per la pace”, e tale convinzione non può prescindere da considerazioni di tipo teologico: “Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio" [Mt. 5,9]. La pace è possibile, in quanto «Dio ha dato all’uomo la possibilità di realizzarla, di costruirla, purché egli diventi uomo nuovo». La pace è necessaria e fondamentale, e «Diventa indispensabile promuovere tra i giovani di ogni orientamento, che amino la pace, una grande campagna di mobilitazione, di denuncia, di educazione». Importantissima è la considerazione subito seguente: gli autori di Gioventù aclista ricordano che promuovere la pace non significa fuggire dal conflitto o dalla violenza delle cose, ma pacificarle intervenendo su di esse. La strada da percorrere è diretta quindi verso tutto ciò che è violento e oppressivo in modo da cambiarlo, poiché fuggendo dal male non si arriverebbe mai a sanarlo. L’ultima parte della relazione si caratterizza per una serie di impegni concreti di altissima rilevanza per l’attualità. Per prima cosa è necessaria una sensibilizzazione sui temi della pace, ovvero fare informazione sugli armamenti, guerre internazionali, terrorismo ecc. Interessante è anche l’idea di organizzare momenti regolari di studio e di riflessione che vertano sul tema della pace. Infine l’attualissimo argomento della sostenibilità ambientale, con un invito da parte di Gioventù Aclista a smettere di «sottomettere la natura alla nostra brama distruttiva». Tutti i suddetti interventi potranno essere coordinati da centri di educazione alla pace da realizzare in tutte le realtà in cui ci sono persone disponibili. Non a caso proprio nel 1980 nascerà il CEPAS, il Centro per la Pace e lo Sviluppo, creato con l'intento di sfruttare le esperienze maturate dalle ACLI nell'ambito dell'associazionismo, della formazione professionale e della cooperazione internazionale in progetti di solidarietà sovranazionale, ponendo come punti di riferimento del proprio lavoro lo sviluppo, la solidarietà fra i popoli e la cultura della pace (dal 1985 cambia nome e diventa IPSIA - Istituto pace e sviluppo innovazione ACLI). Termina con queste parole la relazione sulla marcia di fine anno del 1980: «Noi crediamo che l’essere costruttori di pace, educatori di pace possa essere sempre meno un compito tra i tanti, da aggiungere a quelli che già ci sono, ma una direttiva etica di fondo che ridà unità e sensi al nostro cammino e al nostro impegno».

Fonti:

 

Domenica del Popolo, Una proposta di pace, 1976.

Direttivo provinciale della Gioventù Aclista, 1975.

D. Nicoli, Marcia di Capodanno, 1975.

Gioventù aclista di Bergamo, 1976.

Gioventù aclista di Bergamo, 1980.

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