IL TRACOLLO DEI CATTOLICI. LE CIFRE
di Daniele Rocchetti | La Barca e il Mare
Nei giorni scorsi, mi comunicano la morte di una persona anziana da me conosciuta. Passo da casa sua per una preghiera e quando domando: “A quando i funerali?” mi viene risposto che i figli hanno deciso di non fare nessuna funzione religiosa. La sera stessa mi capita di parlarne con un amico, il quale mi dice che gli è successa la stessa cosa con un’amica, morta improvvisamente il giorno prima. La famiglia ha deciso di rispettare le sue volontà e dunque solo un corteo, dalla casa al cimitero, senza fermarsi in chiesa per il rito delle esequie.
Un cambiamento. Veloce e irreversibile
Sono piccoli segni, insieme a tanti altri, di un cambiamento irreversibile che sta toccando anche la nostra comunità bergamasca che, fino a ieri, si sentiva esente da situazioni di questo genere. Quello che stupisce, semmai, è la velocità con la quale tutto ciò sta avvenendo. Come se, da un giorno con l’altro, l’impalcatura che ha sorretto, per generazioni, l’impianto della vicenda cristiana crollasse quasi all’improvviso.
In Olanda i cattolici oggi sono circa 3,5 milioni su una popolazione di 17 milioni e soltanto 150.000 vanno a messa la domenica
Non che non si scorgessero i cedimenti ma pochi avevano consapevolezza della gravità della crisi. E ancora meno coloro che, avveduti da questa, hanno avviato o sperimentato modelli diversi da quello – glorioso e per secoli generativamente fecondo – nato dopo il Concilio di Trento.
I dati del tracollo riguardano l’Europa intera: in Olanda i cattolici oggi sono circa 3,5 milioni su una popolazione di 17 milioni e soltanto 150.000 vanno a messa la domenica. In Germania, le persone che frequentano la messa domenicale sono il 6% e, solo nel 2019, 272.771 persone hanno deciso di abbandonare deliberatamente la Chiesa cattolica. In Francia la partecipazione alle messe è ormai sotto il 4% e i matrimoni in chiesa rappresentano il 40%.
Non ci sono più preti e i seminari sono (quasi) vuoti
In caduta libera l’ordinazione dei presbiteri. “In rovina la fabbrica dei preti”, così un mesetto fa titolava “Il Foglio” un articolo dell’impertinente Matzuzzi che commentava la situazione italiana: in 30 anni c’è stato un calo di quasi il 20% dei presbiteri diocesani. Da poco più di 36.000 si è arrivati a poco più di 29.000 nel 2020. L’età media supera i 61 anni; i preti che hanno meno di 30 anni sono 600. Numeri che, tra le altre cose, impongono – anche da noi – domande (e, magari, qualche risposta) sul futuro di quegli edifici enormi – i Seminari – costruiti in altri tempi per ospitare ben altri numeri di futuri presbiteri. Oggi sono più o meno 1800 i seminaristi diocesani che vivono nei 120 seminari maggiori d’Italia.
Giovani e meno giovani che dovranno fare i conti, in modo prepotente, con una propria identità dentro un tempo e un mondo profondamente cambiato e dove l’idea stessa di una scelta definitiva, com’è quella del sacerdozio ordinato o della consacrazione, appare problematica.
La stessa crisi (anzi, per alcuni versi, più accentuata) riguarda i religiosi e le religiose. Con annesso, anche nel loro caso, oltre alla scomparsa di un profilo ecclesiale che ha accompagnato l’esistenza di molteplici generazioni, il destino prossimo di moltissimi edifici e case oramai impossibili da gestire e amministrare. Certo, è indubbio – anche nella nostra diocesi, su impulso delle CET, o almeno di alcune – che si sta avviando una stagione di impegno laicale che va seguita con attenzione e cura. Un lavoro di semina e di custodia che potrà portare buoni frutti.