Fermare le guerre, costruire la pace
di Rocco Artifoni
“La pace non viene da sola”. Inizia così il dossier “Fermare le guerre, costruire la pace” a cura del Centro Nuovo Modello di Sviluppo, con l’adesione di Altreconomia, Attac Italia, Eco Istituto del Veneto, Peacelink e Pax Christi.
Si parte da alcuni numeri sulla “follia militare”: nel 2023 nel mondo sono stati registrati 56 conflitti con il coinvolgimento di Stati, mentre la spesa per armamenti è stata di 2.4443 miliardi di dollari. Ha senso continuare a sopportare tutto questo? La risposta del dossier coordinato da Francesco Gesualdi è chiara e semplice: “Invece di spendere in guerre e armi dovremmo aiutare chi non può a vivere meglio”.
I conflitti non sono mai fulmini a ciel sereno. Hanno sempre dietro di sé risentimenti provocati da abusi, accordi non rispettati, diritti violati. Per convincere i cittadini alla necessità di armarsi bisogna coltivare la cultura del nemico. Il principio invocato è quello della deterrenza, secondo il quale nessuno aggredisce chi mostra di essere più forte. Ma la storia ci dice che l’unico risultato della dottrina della deterrenza è l’innalzamento generale del livello degli armamenti, fino a sconfinare in tecnologie capaci di annientare il genere umano.
L’alternativa è convertirsi alla difesa popolare nonviolenta che non si basa sul principio della forza militare, ma sulla forza della non collaborazione sostenuta da una forte motivazione politica.
Per l’Italia, che ripudia la guerra, la ricerca della pace è un obbligo costituzionale. La prima cosa da fare per costruire la pace è fermare la produzione di armi. Le armi infatti sono prodotte per essere vendute e hanno bisogno di un mercato: la guerra.
Per rendere le guerre accettabili s’invocano valori come la difesa della libertà e della democrazia. Ma spesso le vere ragioni vanno ricercate in ambito economico. Le guerre servono per il predominio commerciale e per garantirsi nuovi mercati. Il capitalismo è un sistema intrinsecamente violento perché le sue logiche di funzionamento si basano sull’espansione e la sopraffazione.
Se riuscissimo a liberarci dai condizionamenti ideologici, capiremmo che il rafforzamento dell’economia pubblica è non solo elemento di progresso umano e sociale, ma anche di pace perché l’economia pubblica, a differenza dell’economia di mercato, non ha bisogno di espansione. Poiché non vende, bensì distribuisce, non ha la preoccupazione di procurarsi nuovi clienti. Il suo obiettivo è produrre quanto basta per soddisfare i bisogni dei propri cittadini.
La pace richiede impegno anche personale. L’unico modo per sbarazzarci delle guerre finalizzate al saccheggio è l’abbandono del consumismo a favore della sobrietà, che significa ripensare il nostro concetto di sviluppo, riportando l’idea di benessere nel perimetro di ciò che ci serve senza sconfinare nel dannoso, nell’inutile e nel superfluo. Un compito non semplice perché si scontra con le nostre pulsioni più profonde, ma con possibilità di successo se torniamo a dare il giusto valore alla sfera affettiva, sociale, spirituale e più in generale agli aspetti relazionali che la logica materialista tende a mettere in ombra.
Stili di vita più sobri e forme economiche più di tipo pubblico sono condizioni indispensabili di pace. Ma servono anche rapporti internazionali ispirati a equità e cooperazione. Due percorsi di uno stesso tragitto, teso a colmare le gravi disparità create lungo la storia.
L’articolo 11 della nostra Costituzione rileva la necessità dell’azione internazionale per garantire la pace. Due iniziative che potrebbero essere assunte in questa direzione sono la creazione per via legislativa dei Corpi d’interposizione nonviolenta (anche detti corpi civili di pace) e l’istituzione del Ministero della Riconciliazione.
Per questo è importante che la volontà di pace emerga in tutti i modi possibili. Non solo una tantum con manifestazioni e cortei ma tutti i giorni, sia con iniziative di carattere personale a visibilità pubblica, sia con campagne collettive capaci di fare emergere l’esistenza di un movimento che sa battersi per la pace, esercitando tutta la pressione possibile sui centri decisionali.
Nel dossier curato dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo di possono trovare proposte e indicazioni utili per costruire la pace, unica via per fermare davvero le guerre.