Cosa vuol dire essere cristiani
di Daniele Rocchetti
Botta e risposta tra vescovo di Torino e Vito Mancuso
L’articolo di Repole (pubblicato integrale nell’ultimo numero della rivista Vita e Pensiero) terminava così:
Viviamo un cristianesimo che non offre veri cammini di spiritualità. I giovani chiedono proposte alte. Ma, lo ripeto, la Chiesa può offrire soltanto ciò che vive. In definitiva, io credo che molti cristiani non sentano più l’urgenza o la bellezza di annunciare e testimoniare Gesù Cristo agli altri. Credo che in maniera sottile molti cristiani facciano proprio il nichilismo contemporaneo o, se volete, quella forma di nichilismo che è l’assoluto relax, il relativismo. Una cosa vale l’altra. Ma io non sto nella Chiesa e non sono cristiano se una cosa vale l’altra. Io sono cristiano perché credo fermissimamente ciò che dice Pietro nel libro degli Atti: che non c’è nessun altro nome in cui c’è salvezza, se non Gesù Cristo. Chiedo perdono, ma per meno di questo io non riuscirei a essere cristiano
Vito Mancuso nella replica contesta il senso della frase finale dell’articolo perché, a suo dire, si rivendica un esclusivismo teologico
che lungo i secoli ha prodotto divisioni, persecuzioni, e non di rado violenze e guerre di religione. In nessun altro c’è salvezza? Davvero? Quindi Gandhi, Martin Buber, il Dalai Lama sono esclusi dalla salvezza? Sant’Agostino e i concili ecumenici pensavano così, ma la coscienza sente che si tratta di un’ingiustizia
Eppure senza la salvezza “in Cristo” non c’è cristianesimo
Nel mio articolo a commento del confronto, scrivevo che togliere ogni valore alla “differenza cristiana” (che, in concreto è la vicenda di Gesù di Nazareth morto e risorto sempre eccedente rispetto alla storia della Chiesa e delle Chiese lungo i secoli) dispone il cristianesimo sullo scaffale indistinto delle fedi. Con poco rispetto sia del cristianesimo che delle altre fedi.
Inoltre, porta ad un assioma che non trovo giustificato: per Mancuso indicare Gesù di Nazareth come fonte di salvezza vuol dire escludere le altre prospettive religiose (perché?). Se, come credo, la salvezza per il cristianesimo è sempre e solo salvezza incarnata, essa è strutturalmente dialogica.
Credo poi che affermare che Gesù sia l’unico Salvatore del mondo non implica affatto coltivare o alimentare sentimenti di superiorità, né è in sé un atto di arroganza. È semplicemente una delle convinzioni centrali della fede cristiana. Si può non condividerla, ma è difficile immaginare un cristianesimo che ne prescinda.