di Francesca Ghirardelli | Mercoledì 17 novembre
Avvenire
Arriva la chiamata d’emergenza e la squadra di turno entra in azione: un medico, un infermiere e un paramedico, sulle tracce di chi si trova in difficoltà da qualche parte nella fitta boscaglia di Bialowieza, che si estende per chilometri tra Polonia e Bielorussia. In uno degli interventi al confine, il team di "Medycy na Granicy" (Medici sulla frontiera) si è trovato a soccorrere una donna siriana che vagava per i boschi con una bambina di due anni. Quando i volontari l’hanno raggiunta, la donna non era più in grado di camminare. Grave ipotermia, la diagnosi. La bambina era seduta accanto a lei, nel profondo della foresta.
Da un mese, ogni giorno e a tutte le ore, i 33 professionisti sanitari di Medycy na Granicy, colleghi di corsia e amici di vecchia data, rispondono agli Sos delle diverse Ong impegnate sul lato polacco della frontiera. «Ci siamo riuniti all’inizio di questa crisi. La nostra base è Bialystok, nella Podlachia, ma riusciamo a intervenire lungo tutto il confine», assicura al telefono Jakub Sieczko, anestesista e coordinatore del gruppo.
«Siamo a 700 metri dall’area di confine posta in stato di emergenza, interdetta a Ong e media, per la quale a settembre abbiamo presentato richiesta formale d’accesso al ministero degli Affari interni. È stata respinta. Diamo assistenza a chi riesce a uscire da quella zona ma si perde, resta nascosto, a chi è nei boschi da giorni o settimane. Riscontriamo casi di ipotermia, disidratazione, disturbi gastrici, malnutrizione, traumi e ferite a piedi, viso e occhi perché ci si muove al buio, tra i rami. Senza medicinali, chi ha patologie croniche peggiora».