Cattolici e cultura. Bruni: «Le tre radici del disinteresse verso il cristianesimo»
di Luigino Bruni
Per una riflessione critica sul presente occorre riscoprire la comunità e trovare nuovi codici narrativi. E rileggere meccanismi e dinamiche del passato della Chiesa sconfessate dalla storia
Prosegue il dibattito su cattolicesimo e cultura, avviato da PierAngelo Sequeri e Roberto Righetto. Sono intervenuti nelle settimane scorse Gabriel, Forte, Petrosino, Ossola, Spadaro, Giaccardi, Lorizio, Massironi, Giovagnoli, Santerini, Cosentino, Zanchi, Possenti, Alici, Ornaghi, Rondoni, Esposito, Sabatini, Cacciari, Nembrini, Gabellini, Vigini, Timossi, Colombo, De Simone e Arnone.
Partiamo da un dato: i temi oggetto dei dibattiti dei teologi non sembrano essere quelli che appassionano la gente del nostro tempo ormai post-religioso. Risuonano oggi profetiche le domande radicali dell’ultimo Bonhoeffer: «Che cosa significano una Chiesa, una comunità, una predicazione, una liturgia, una vita cristiana in un mondo non-religioso? Come parliamo di Dio senza religione? Come parliamo “mondanamente” di “Dio”? Ma che significa questo? Che significato hanno il culto e la preghiera nella non-religiosità?» (Resistenza e Resa). Il suo cristianesimo non-religioso non è ancora incominciato, e invece, forse, questa evoluzione sarebbe la sola cosa necessaria per riscattarlo dal regno della crescente irrilevanza nella vita ordinaria delle persone. Per la quasi totalità della popolazione occidentale, la religione non svolge più neanche la residuale funzione di “tappabuchi”.
Questa mancanza di passione e di interesse per il cristianesimo, parallela ad una vaga e confusa domanda di spiritualità, ha chiaramente radici antiche e profonde. Qui ne voglio discutere tre.
La prima riguarda direttamente la lunghissima stagione della cultura della Controriforma e la sua complicata e non riuscita relazione con la Modernità, una cultura e mentalità che sono durate, di fatto, circa quattro secoli. Lo shock della Riforma di Lutero rappresentò un vero trauma per la chiesa romana. La paura per la discesa sotto le Alpi dei venti scismatici e eretici del Nord si intrecciò profondamente con la paura dell’Umanesimo e quindi della Modernità, come rivela anche l’incomprensione e il rifiuto di Erasmo da Rotterdam e del suo movimento.
La Controriforma ha generato anche alcuni luci (dalle opere sociali dei carismi ad una certa pietà popolare), ma sue le ombre culturali sono state molte e vaste. La chiusura, ad esempio, verso l’esercizio della libertà di coscienza - «La libertà di coscienza predicata dagli eretici era una libertà degna dei figli del diavolo, peggiore di ogni schiavitù» (Bellarmino, 1587) -, o quella nei confronti della conoscenza popolare delle Scrittura, il non ascolto delle domande di uguaglianza e delle critiche alla gerarchia sacrale, divennero immediatamente chiusura nei confronti dello spirito moderno. Come importante effetto collaterale, i migliori pensatori cattolici iniziarono progressivamente a spostarsi dalla teologia (e filosofia) verso altri ambiti del sapere che scottavano e “bruciavano” di meno. Dopo il Concilio di Trento, infatti, occuparsi con libertà di coscienza di questioni teologiche poteva facilmente condurre alla scomunica o al rogo, e la soluzione fu l’exit (la fuga). I migliori talenti italiani e latini si dedicarono ad altro (musica, arte, letteratura, scienza, teatro, economia), e la teologia e la filosofia moderna divennero faccende prevalentemente protestanti e nordiche. Così la Modernità e la Chiesa cattolica seguirono strade divergenti, e nell’età e nei paesi della Controriforma i teologi-filosofi significativi, se ce ne sono, si contano sulle dita di una mano. Questo allontanamento progressivo tra la Chiesa cattolica e il pensiero moderno, oltre a generare una carestia di vocazioni nelle discipline teologiche, non poteva non generare una naturale e crescente distanza tra i temi della teologia e quelli al centro della Modernità.
Tra Otto e Novecento, poi, una parte significativa del pensiero cattolico, da Giuseppe Toniolo a padre Gemelli, continuavano, lodavano e celebravano il Medioevo e la sua Scolastica come età dell’oro del cristianesimo - quando «al di sopra la Chiesa, finalmente distinta e indipendente dallo Stato, maestra e custode della coscienza, vindice di giustizia sociale, tutrice e puntello degli ultimi, rappresentante della unità e universalità del genere umano» (Toniolo, Trattato di Economia Sociale, 1909). Di conseguenza la cultura cattolica vide l’Umanesimo e il Rinascimento come decadenza spirituale ed etica: «Ecco il nostro programma! Noi siamo medioevalisti. Mi spiego. Noi ci sentiamo profondamente lontani, nemici anzi della cosiddetta “cultura moderna”, così povera di contenuto.… Noi abbiamo paura di questa cultura moderna, perché strozza le anime. Noi siamo medioevalisti perché abbiamo compreso essere necessario che l’anima che ispirava la cultura medioevale ispiri anche la nostra cultura» (Agostino Gemelli, “Medioevismo”, Vita e Pensiero, Anno 1, fasc. I, 1914).