Byung-Chul Han, la natura, i vaccini, le vite virtuali: «Un giardino è meglio di uno schermo»

di Leonardo Caffo | Martedì 1 marzo

 

 

 

 

 

 

 

 

Corriere della Sera

 

 

 

 

 

 

 

 

È il filosofo più famoso nel mondo. Conosciuto anche tra i non filosofi, Byung-Chul Han è anche (purtroppo?) il filosofo più coerente al mondo. Critico feroce del digitale e del capitalismo cognitivo contemporaneo si fa raggiungere con estrema difficoltà, odia essere registrato, detesta anche solo sforzarsi di parlare una lingua che non sia il tedesco (nato a Seul nel 1959, si è trasferito negli Anni Ottanta a Berlino, e qui insegna Filosofia e Studi culturali alla Universität der Künste). L’inglese? Strumento dei dominatori, va escluso a priori. Invitarlo a una conferenza e filmarlo è un’impresa. L’editore italiano Nottetempo che lo ha sostanzialmente scoperto (nonostante poi, ovviamente, siano arrivati anche altri) pubblica ora il suo Elogio della terra ed è un libro in cui, dopo anni di decostruzione della dittatura del digitale e del performativo, si iniziano a intravedere alcune proposte concrete che traggono linfa anche dall’amore di Byung-Chul Han per la filosofia zen: la natura, anche con la sua metafora del giardino planetario, può essere la soluzione a un mondo costantemente presentato come “finito”.

 

Perché scappare su Marte, come i tecno entusiasti (scioccamente) suggeriscono, quando basterebbe osservare gli altrove che dai deserti agli oceani compongono il nostro mondo? E se fossimo noi stessi questo altrove, abbandonata la società dell’intrattenimento forzato, da coltivare ed esplorare? Al nostro incontro Byung-Chul Han si rivela come me lo aspettavo: polemico ma intelligentissimo, fissato sul fatto che se usassimo lo smartphone per identificare le piante invece che per postare su Instagram molti problemi verrebbero risolti.

 
Critica della società della performance e “coscienza planetaria”, cioè ciò di cui parla nel suo ultimo libro, sembrano intimamente legate. La salvezza dalla società della stanchezza è ancora nella natura come già lo era per i trascendentalisti americani?
 

«È dipeso indubbiamente dalla digitalizzazione il fatto che io, circa sette anni fa, abbia provato un forte bisogno di essere vicino alla terra. Con la digitalizzazione abbandoniamo l’ordine terreno, l’ordine della terra. Non abitiamo più il cielo e la terra, bensì Google Earth e il Cloud. Così presi la decisione di allestire un giardino. A suo tempo lavoravo ogni giorno, non di rado fino allo sfinimento. Il giardino mi ha restituito il mondo, la realtà. Contiene molto più mondo dello schermo. Lo chiamai Bi-Won (“giardino segreto” in coreano). Volevo creare un giardino che fiorisse anche in inverno. Così vi ho piantato soprattutto fiori invernali. Da questi anni di lavoro che mi hanno riempito di gioia ho imparato soprattutto che la terra è magia. Ho avvertito la necessità, anche fisica, di proteggerla collettivamente a ogni costo. Con “coscienza planetaria” intendo questo: dobbiamo sempre avere ben presente che esistiamo su un piccolo ma rigoglioso pianeta in un universo altrimenti gelido e privo di vita. Sa, la vita esiste solo in questa sottile e fragile membrana che avvolge la Terra».

 
 
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