Antifascismo e democrazia

ANTIFASCISMO E DEMOCRAZIA


di don Matteo Cella


Io Matteotti non so chi sia, non l’ho mai visto”. Daniele Rocchetti, presidente delle ACLI bergamasche, apre il secondo appuntamento con la scuola di politica Grammatica per una buona politica citando una frase pronunciata da un consigliere comunale di Treviso durante la discussione sulla possibile revisione dell’intitolazione di alcune vie e piazze della città veneta.

 

La citazione è sintomo di un cambiamento di cultura: in Italia oggi sembra aver trovato spazio nel discorso pubblico il revisionismo storico. Secondo questa rilettura della storia, l’epoca dittatoriale che ha privato gli italiani dei diritti civili, ha consentito la vergogna delle leggi razziali e contribuito a insanguinare l’Europa non sarebbe più motivo di disonore.

Si assiste, rileva Rocchetti, ad un cambiamento di vocabolario: termini come ‘nazione’, ‘sovranità’, ‘identità’ risuonano con più forza e frequenza rispetto al termine ‘antifascismo’ che invece sembra desueto. Si tratta di una falsificazione della storia che qualche forza politica utilizza come strategia. 

 

Ecco perché è necessario riflettere sulle radici della Repubblica e della sua Costituzione. Si può comprendere l’Italia democratica fuori dal riconoscimento del suo antifascismo?

 

“Se volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione” 

Piero Calamandrei

 

Per rispondere a questo interrogativo è stato invitato a intervenire nel ciclo di formazione il giornalista e scrittore Ezio Mauro, già direttore del quotidiano La Repubblica e da alcuni anni impegnano nella pubblicazione delle cronache del ventennio fascista.

 

Mauro raccoglie immediatamente la provocazione e, rivolgendosi ai numerosi studenti presenti nell’auditorium del liceo Mascheroni di Bergamo, chiede loro se il fascismo può essere percepito da uno studente alla stregua delle guerre puniche: un fatto remoto, incapace di avere effetti sul presente. La risposta evidentemente è negativa: il fascismo è parte della storia d’Italia, ma è sempre anche una questione contemporanea. Citando il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo ultimo discorso per la ricorrenza del 25 aprile, Ezio Mauro ricorda come “le radici della Repubblica sono sulle montagne” dove, spontaneamente, decine di persone hanno deciso di ribellarsi alla dominazione nazista e di rigettare la stagione della dittatura favorendo l’intervento liberatorio degli Alleati. Senza questo contributo, forse non determinante sul piano militare, ma fondamentale per l’affermarsi dell’identità e della dignità del Paese nasce la nuova Italia. 

 

Affermazioni di uso comune quali “Mussolini ha fatto anche qualcosa di buono” o “Anche i partigiani hanno commesso dei crimini” non restituiscono la verità del periodo. L’Italia uscita dal ventennio fascista, ricorda Mauro, è ben rappresentata dalla presentazione di De Gasperi alla conferenza di Parigi nel 1946: “So che oggi è tutto contro di me tranne la vostra cortesia”. Lo statista italiano non viene salutato o applaudito da alcuno dei presenti in sala. Sa di essere esponente di una nazione che ha originato il fenomeno fascista, che si è fatta ammaliare dalle sue false promesse e che ha tollerato per anni i suoi soprusi. Il nazi-fascismo è stata la cornice entro la quale hanno potuto generarsi le persecuzioni contro gli ebrei e i campi di sterminio: fenomeni tra loro connaturali poiché questi sistemi di potere hanno fatto della violenza uno strumento politico. 

 

“Dura fu la lotta per garantire la sopravvivenza dell’Italia nella catastrofe cui l’aveva condotta il fascismo. Ci aiutarono soldati di altri Paesi, divenuti amici e solidi alleati: tanti di essi sono sepolti in Italia.

 

A questa lotta si aggiunse una consapevolezza: la crisi suprema del Paese esigeva un momento risolutivo, per una nuova idea di comunità, dopo il fallimento della precedente.

Si trattava di trasfondere nello Stato l’anima autentica della Nazione. Di dare vita a una nuova Italia”

Sergio Mattarella

 

Secondo il giornalista è in atto da tempo nella cultura italiana il tentativo di una “banalizzazione del fascismo”: una narrazione che lo ridurrebbe a una sorta di “operetta del potere” sminuendo le responsabilità dei suoi attori. “Non è così! In quel tempo si sono cancellate le opposizioni, minacciati i socialisti, agito violenza”. Al contrario, la Repubblica avvia un nuovo corso. La sua nascita non è frutto del disegno delle potenze estere che hanno liberato la penisola dai dominatori, ma dalla “ribellione indigena” che si è generata immediatamente, con partecipazione di popolo, sin dall’8 settembre 1943. In quella circostanza, quando il Paese è gettato nel caos anche perché il capo del governo e il sovrano si danno alla fuga, immediatamente si assiste alla nascita di forme di repulsione degli invasori. Non esisterebbe lo spirito della Costituzione repubblicana senza quegli atti eroici. 

 

Il ritorno dei partiti di destra al governo in Italia e l’affermarsi di forme di potere non democratiche porta oggi attenzione e interesse sul tema. In che misura è necessario dirsi oggi antifascisti? Perché alcuni esponenti della politica nazionale faticano ad accettare questa definizione? E come mai riaffiorano segni ed espressioni di un tempo che sembrava ormai concluso?

 

Ezio Mauro propone questa comprensione dell’attualità politica: le attuali forze politiche che rivendicano l’eredità della destra storica hanno riconosciuto la negatività dei fatti del passato ma non hanno ancora condannato la “natura malvagia del fascismo”. E, suggerisce lo scrittore, sono portatrici di una concezione del voto democratico non come delegata data dai cittadini per governare il Paese, ma come conquista del potere. Nella sua saggezza, la Costituzione afferma ce la “sovranità appartiene al popolo”, che quindi non se ne priva mai. Alcuni modi contemporanei di intendere la politica invece non sembrano riconoscersi nella concezione che il potere è solo “dato in prestito” e se ne deve rendere conto.

 

La sfida, conclude Mauro, è che chi si candida a guidare la nazione chiarisca quale in quale idea di democrazia si riconosce: se è solo una procedura da osservare per giungere al comando come accade nelle moderne autocrazie o democrature, oppure se lo si riconosce come un disegno con ambizioni universali che mira a riconoscere libertà e uguaglianza a tutti. Ovvero andrebbe chiarito se per democrazia si intende la condizione neutrale che definisce le procedure di governo oppure se è espressione della libertà e quindi rifiuto di ogni forma di autoritarismo ovvero se è per sua natura liberale e antifascista. 


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