di Giuseppe Lorizio | Venerdì 1 ottobre
Avvenire
All’inizio anni ’70 del secolo scorso il teologo di Tubinga Eberhard Jüngel, morto martedì all’età di 86 anni, pubblicava un breve saggio intitolato Tod. Ho sempre pensato che alla morte bisognasse iniziare a pensare da subito e non attendere le fasi finali della vita. Ne fui molto colpito e gli scrissi, anche perché, con padre Xavier Tilliette, stavo scrivendo sull’argomento, in quello che poi sarebbe diventato il mio saggio Mistero della morte come mistero dell’uomo (Dehoniane, 1981).
Mi rispose con grande affabilità e dimostrando interesse verso il mio umile lavoro di giovanissimo studente di teologia. Cosa ho imparato da quel libro? Intanto che «l’essenza della morte è l’irrelazionalità», ossia la solitudine, ma che questa è anche la condizione dell’esistenza autentica. Ma, aggiungeva: «La morte deve essere e deve diventare ciò che l’ha resa Gesù Cristo», ovvero l’attestazione del primato di Dio e non di altri sulla nostra esistenza terrena, perché: «Là dove non possiamo fare nulla, egli è presente per noi».