50 anni dal golpe cileno

11 SETTEMBRE 1973. LA FINE DEL CAMBIAMENTO


di Gilberto Bonalumi 


Un pomeriggio di settembre; è il giorno 11. Un vortice di dispacci approssimativi corre sulle telescriventi: sono datati Buenos Aires e si riferiscono a Santiago; c’è un colpo di Stato in Cile. L’altalena di conferme e di smentite continua sino a tarda sera, poi la notizia data per certa: Allende è morto, il palazzo della Moneda semidistrutto, una giunta militare ha schiacciato il governo costituzionale. In poche ore, si consumava dunque la tragedia cilena. Colpi di Stato e giunte militari erano in quell’epoca un binomio che si ripresentava con allarmante frequenza nella storia politica sudamericana, ma la tradizione democratica cilena si ergeva come un sipario a difesa dei timori, dei sospetti e delle preoccupazioni degli uomini liberi.


I fatti del settembre 1973 venivano a stracciare le illusioni: non era un golpe che si sovrapponeva ad un golpe, i militari travolgevano le libertà che avevano portato al governo del Paese il rappresentante dei partiti della sinistra uniti. Errori, incertezze, contraddizioni di quel governo e della opposizione democristiana non potevano in alcun modo giustificare il piano del colpo di forza architettato altrove e che si era avvalso delle èlites militare in loco.


Il candidato della DC Radomiro Tomic alle elezioni del quattro settembre 1970 non raccoglie che il 27,8% dei voti contro il candidato di Unidad Popular Allende con il 36,3% mentre la destra di Alessandri guadagna il 34,9%. Era chiaro che il grosso dei voti moderati si era riversato sul candidato conservatore. L’alta e la media borghesia che avevano contribuito al successo elettorale di Frei nel 1964, non si fidavano più del candidato democristiano il cui programma aveva troppe assonanze con quello di Allende. Il contesto in cui si svolse la campagna elettorale tendeva a radicalizzare lo scontro politico tra due personaggi, tra due blocchi, quello conservatore e quello “rivoluzionario”. Già nella primavera dell’anno precedente si erano avuti episodi che denunciavano inquietudine nelle file dell’esercito: il 21 novembre 1969 il generale Viaux fece ammutinare il reggimento Tacna. Un anno dopo, nel delicato periodo di intermezzo tra l’elezione popolare di Allende e la sua nomina parlamentare alla presidenza della Repubblica, il generale Viaux tornerà alla ribalta: sarà l’ispiratore del rapimento, conclusosi con l’assassinio del comandante in capo dell’esercito, generale René Schneider, responsabile agli occhi dei militari dalle vocazioni golpiste (ancora in ombra) di non aver ostacolato l’accesso alla suprema guida del Paese di un uomo di fede marxista.


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