Perché non me ne vado (e lotto)
di Simona Segoloni
Se c’è un dato profondamente tradizionale che il Concilio Vaticano II ci ha permesso di interiorizzare è che la chiesa non coincide con la gerarchia. Il Concilio ci ha permesso infatti di ridire in ogni modo possibile quello che abbiamo sempre saputo e cioè che la chiesa è il popolo di tutti quelle e quelli che credono nel Vangelo, che in questa fede sono stati e sono state battezzate e che questa fede vogliono vivere (nonostante tutte le povertà che segnano il proprio vissuto).
Perché rimani nella Chiesa?
Non è dunque ben posta la domanda se chiediamo a un/a credente perché resta nella chiesa, dal momento che ciascun credente è chiesa, insieme agli altri e alle altre. Eventualmente potremmo chiedere a questa persona che cosa la fa soffrire nel vivere e nel dire della chiesa di cui è membro vivo e se questa sofferenza potrebbe portarla ad allontanarsi, a non impegnarsi più, a spendere altrove le risorse che il Vangelo offre.
Molti e molte già fanno questo in realtà. Si è aggiunto infatti al fenomeno, visto da decenni, di una fede in Dio senza sentire il bisogno di appartenere alla chiesa (anche se nessuno può sapere quanto questa sia una fede cristiana o invece una esperienza religiosa altra espressa con categorie cristiane perché il nostro contesto culturale offre solo quelle), il fenomeno di quelli che avendo aderito con consapevolezza alla fede cristiana si allontanano dalla vita della chiesa perché questa non li aiuta, anzi li ostacola nel vivere la fede che hanno conosciuto.
Queste persone, però, si allontanano per la delusione di non aver trovato ciò che era stato loro promesso, perché percepiscono di aver subito un tradimento, e non perché non ritengono di essere chiesa. Se la chiesa si mettesse su altre vie, riprenderebbero il loro impegno.