Parroco di Rameh: la paura della ‘scintilla’ che apre il ‘fronte nord’ con Hezbollah
Rameh (AsiaNews) - “Tutti aspettano la scintilla” che finirà per “innescare la guerra aperta”, anche se vi è già un “clima di confronto”, testimoniato dagli eventi di questi giorni con le esplosioni di cerca-persone e radio portatili dei membri di Hezbollah in Libano che ha causato decine di morti. È quanto racconta ad AsiaNews p. Raed Abu Sahlieh, parroco della chiesa di sant’Antonio a Rameh, e assistente della scuola del Patriarcato latino, una quarantina di chilometri a nord di Nazareth, in Galilea, da dove si guarda con attenzione, e preoccupazione, all’escalation militare fra l’esercito e il movimento sciita libanese. Il “fronte nord” più volte evocato dai vertici dello Stato ebraico e che, dopo Gaza, sembra essere l’obiettivo di una strategia bellica permanente.
“Hezbollah non vuole una guerra aperta con Israele - prosegue il sacerdote - per diversi motivi: resta il sostegno ai palestinesi e alla Striscia, ma la situazione economica e politica del Libano non permette una nuova avventura militare, con le distruzioni di infrastrutture e mezzi. Resta la paura, ma l’unica soluzione è quella della fine della guerra a Gaza”.
Da qualche settimana l’attenzione in Israele, e della comunità internazionale, è concentrata sul confine nord col Paese dei cedri, in cui il governo israeliano pare intenzionato ad aprire un nuovo fronte di guerra le cui conseguenze potrebbero essere devastanti per l’intera regione. “Sinora la zona ha vissuto un periodo di relativa tranquillità - afferma p. Raed, che si trova a poche decine di chilometri dal confine col Libano - ma ora è forte il timore per gli sviluppi. Tutto il Medio oriente non sa cosa succederà, la gente è preoccupata, mentre le due parti [esercito israeliano ed Hezbollah] si stanno preparando”.
Finora il confronto militare a nord è stato contenuto, con “missili che per il momento non sono arrivati sino a noi, ma si sono fermati al Golan, ai villaggi del nord [da tempo svuotati] e vicino a Tiberiade dove vi è una base militare israeliana. Ma si vede che sono lanci mirati e hanno risparmiato, almeno sinora, i civili. I 46 villaggi e insediamenti nel nord sono pressoché vuoti - aggiunge - e gli abitanti trasferiti in alberghi nel centro di Israele o a Tiberiade, e ancora sul mar Morto. Sono almeno 150mila da nord e dal confine con Gaza che abitano da quasi 11 mesi in strutture di accoglienza, in una situazione difficile: famiglie in una sola stanza, affollamento con conseguente tensione sociale e prospettive incerte per i figli” a partire dalla scuola.